Cosa riempie il tuo cuore?
Non fu un sì alla SLA ma al proprio desiderio di essere felice
“La mia vita è sempre stata dominata da un bisogno viscerale di essere preferito”.
Zatto iniziò così il messaggio che lesse e dedicò ai suoi amici l’1 giugno, giorno del suo trentasettesimo compleanno, esattamente una settimana prima della sua morte.
Nicola Zattoni, soprannominato Zatto, era un imprenditore riccionese che ha scoperto di avere la Sla in una forma molto aggressiva nell’ottobre del 2020. L’amicizia con lui ha cambiato la vita di noi scrittori.
Lo abbiamo conosciuto ad un vacanza in montagna con 250 ragazzi a cui era stato invitato per aiutare nell’organizzazione. L’amicizia con lui è nata più tardi, quando ad un pranzo gli abbiamo chiesto di conoscere un suo amico di Roma e non ha esitato a presentarcelo poco tempo dopo. Il fatto che abbia detto di sì ad una richiesta di ragazzi di 20 anni più giovani di lui, appena conosciuti, fa capire come prendesse sul serio chiunque incontrasse. Da quel momento in poi, come è stato in quel primo incontro, ogni anno ci ha proposto di fare un viaggio, non semplicemente per visitare dei luoghi, ma per conoscere amici per lui speciali. Ogni volta che stavamo insieme (era nata un’amicizia ormai quotidiana), Zatto ci domandava perché un trentaduenne dovesse stare con dei sedicenni, e ci rispondeva “Quello che ci unisce è che abbiamo lo stesso cuore e lo stesso desiderio”.
La stessa attenzione che aveva per noi era rivolta ad ogni dettaglio, fino al più piccolo. Nelle cene che faceva con i suoi amici, nelle camminate, nel lavoro, tutto era pensato con una cura incredibile, voleva che ogni cosa attorno a lui fosse bella. Questa sua attitudine era così totalizzante che ha insegnato anche a noi ad averla ogni giorno.
Ad agosto del 2020, durante un viaggio in Islanda, ha scoperto di non riuscire bene a camminare e poco dopo gli è stata diagnosticata la SLA. E’ stato per noi sorprendente guardare come il suo modo di giudicare e vivere tutto non fosse cambiato di una virgola in quella circostanza, anzi, si fosse amplificato a dismisura. Da subito ci ha detto “Se smetto di camminare non mi interessa, perché quante volte capita che mentre passeggi sei comunque arrabbiato o triste?”, “Se non è il camminare, se non è la salute, cosa riempie il tuo cuore?” La domanda era quella, con o senza SLA.
La malattia progredì velocemente assieme alla fatica di affrontarla, e le domande sulla vita erano estremamente drammatiche: ad esempio, ha sempre detto di voler servire, nel senso di essere utile e nel senso di aiutare. “Ma come faccio se ho bisogno di tutto? Dall’indipendenza totale alla dipendenza totale. Non riesco neanche a bere un bicchier d’acqua da solo.”
Nello stare con lui però, era evidente che l’impossibilità di essere autonomo e la profondità della sua ferita non impedissero il desiderio di essere felice; in lui convivevano dolore e bellezza. Infatti diceva: “Questa malattia che mi determina non mi definisce, la mia faccia non è schiacciata dal dolore o dal male, non vince la SLA”.
Zatto era dunque un uomo che, davanti ai fatti che gli accadevano, e ancora di più davanti alla drammaticità della sua malattia non trascurava ciò che per lui aveva valore: essere felice e vivere all’altezza di ciò che desiderava. Proprio per questo motivo, durante la malattia, ha attratto centinaia di persone che vedendolo così attaccato alla vita, ora desiderano lo stesso per la propria.
Era questo Zatto, un uomo leale con ciò che gli stava a cuore, non senza debolezze e fatiche. Non era un superuomo, ma è ancora un compagno nella nostra vita.