Chi sono io per spiegare la vita?
Una riflessione guidata dalle citazioni
Navigo in una palude di pensieri e mi fermo. Non si tratta di un cartello di manifestazione contro l’aborto, ma sull’esortazione a questa riflessione: cosa rende la vita, vita. Direi interrogativo non banale, e non per questo presuntuoso. Un grande punto di domanda che costruisce la sua forma dalla prima scelta che si è portati a compiere, fino all’ultima che ci compete. Scelta e vita, semanticamente neanche così vicine, eppure lì a tenersi per mano.
Se mi trovassi in una di quelle cene cinematograficamente giuste, in cui si sopperisce alla mancanza della spontanea fantasia con il tirare in ballo-mi si perdoni la rudezza- grandi domande come questa, esordirei con il citare il monologo sui piccoli piaceri da ‘Il mondo di Amelie’ con tanto di “comptine d’un autre été” in sottofondo per non perdere di nulla. Non a caso sarebbe una risposta che piace. Piace perchè spiegare la vita riconducendola a soli istanti la semplifica e non la banalizza.
Come Amélie, anche Woody Allen in Manhattan chiarisce “Per cosa vale la pena vivere”.
“Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una e… Joe DiMaggio e… secondo movimento della sinfonia Jupiter e… Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Bluese… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di Flaubert… Marlon Brando, Frank Sinatra… quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézanne… i granchi da Sam Wo… il viso di Tracy…”
Discuterei-sarà l’indole dubitativa o semplice invidia per la sicurezza che non mi appartiene-la solidità di questo elenco. Canzoni, libri, film, dipinti, cosa hanno mosso nell’animo perché venissero identificati come insostituibili? Violano lo stato di quiete che perdura nella quotidianità del giorno, vero, ma la sola sensazione di disorientamento basta perché, se non esistessero, allora se ne percepirebbe il vuoto?
Ad ogni modo la cena è finita, e ho già convinto i miei interlocutori che la vita è solo attimi e piaceri, quindi meglio non confonderli con altre domande.
“Il viso di Tracy…” forse non volevamo neanche un Woody che nella lista degli insostituibili, dei motori dei battiti, non mettesse una donna. È un’altra però la pellicola in cui descrive al meglio le relazioni tra uomini, Io e Annie.
Novanta minuti di racconto del loro amore, da come è nato a come si è concluso-un film con lieto fine non è credibile a prescindere- e, al termine, la sua personale visione delle relazioni.
<<E io pensai a quella vecchia barzelletta… Sapete? Quella dove uno va da uno psichiatra e dice: “Dottore, mio fratello è pazzo: crede di essere una gallina.”. E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?”. E quello risponde: “E poi a me le uova chi me le fa?”. Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.>>
L’amore, folle e necessario, come le uova. Forse un po’ troppo grezzo.
Per elevare quest’ultima caratteristica, ovvero il bisogno, e svicolare il suo mantello ineffabile, è piu’ fine, o semplicemente giusto, parlare per immagini.
<<C’è la neve nei miei ricordi, c’è sempre la neve e mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare…tanto qua sotto nulla è peccato…Nulla. Neppure il mio amore>>
Sarà banale, ma alla domanda “ne è valsa la pena?” non posso fare a meno di pensare a Carlo Verdone, coperto da un lenzuolo su un terrazzo, che recita queste parole*. La poesia è la manifestazione di una passione che lo ha reso vivo, malgrado non fosse così lecita.
Emozioni di Lucio Battisti invece ci insegna che la neve è uno stato d’animo: cade in fondo al cuore, come la tristezza, e non fa rumore. Qui l’ultimo cardine della vita, l’infelicità.
Mi è capitato di domandare a chi sapevo avesse una forte fede “Perché credi nel Signore?” e lui mi ha risposto “Perché è più difficile non farlo affatto.” In maniera simile, dà più conforto abbandonarsi serenamente all’idea che la pena abbia un senso perché, se non ci fosse, la felicità non verrebbe neanche percepita.
Dostoevskij vede la tristezza nella nebbia. Questa accompagna il sognatore de “Le notti bianche” nel giorno più buio.
Personalmente sostengo che è quando piove che si è portati a pensare che sia per sempre.
Per parlare della vita non serve che sia passato tanto tempo. A vent’anni se si ha avuto fortuna-sempre che venga definita tale-ogni pilastro sopra citato è già stato incontrato: dai piaceri alla cultura, all’amore, alla sofferenza.
Se l’esistenza fosse una scatola di cioccolatini* mi auguro di assaggiare ogni singolo gusto, ma soprattutto di accorgermi di ogni istante per cui il mio palato ne è sorpreso e inebriato.