Didattica innovativa
Cambiare può essere un’opportunità?
Da alcuni mesi in tutti i corsi di studio pro-fessori e rappresentanti degli studenti stan-no facendo i conti con la proposta di adotta-re una serie di provvedimenti racchiusi sotto il nome di didattica innovativa, un progetto fortemente voluto dal Rettore e per il quale ha stanziato 3 milioni di euro per il triennio 2017-2019. Incuriositi abbiamo voluto ap-profondire il tema in un dialogo con il pro-fessor Lamberto Duò, delegato del Rettore per la didattica.
Perchè c’è bisogno di “innovare” la didattica?
Bisogno è forse una parola un po’ eccessiva. Diciamo: perché abbiamo deciso di farlo? Dal lato interno sentiamo sempre più spes-so i nostri colleghi dire che gli studenti non sono più quelli di una volta. Tutti noi pen-siamo “questi ragazzi sono cambiati” però il modo in cui noi insegniamo è lo stesso, per questo può valere la pena di sperimen-tare qualche modalità diversa, anche par-ziale, non parliamo di rivoluzione. L’attuale metodo di insegnamento è quel-lo che ho ricevuto io quando ero studente e che credo abbiano ricevuto i miei pro-fessori quando loro erano studenti. Non è niente di male perchè comunque il sistema funziona bene: la nostra università ha re-putazione internazionale! In questo senso volevo dire che non c’è un bisogno: un bi-sogno è una cosa che si fa quando c’è una crisi, questo è più un progetto anticipatore, cioè per evitare che ci sia una crisi domani. Quello che tutti i datori di lavoro ci dicono è che i nostri studenti non sono tanto abi-tuati a collaborare in gruppo, a presentare i risultati del loro lavoro e a lavorare in un contesto eterogeneo rispetto a quello in cui hanno studiato. Infatti, confrontandoci con i curricula delle altre università europee, manchiamo di interdisciplinarietà. Non è quindi la risposta a una crisi ma a qualche cosa che potrebbe diventare domani una crisi se non facciamo niente oggi.
In cosa consiste questa innovazione?
Distinguiamo due tipi di azione: Azione 1 e Azione 2.
AZIONE 1: curricolare, si può coniugare in 4 possibi-li interventi:
#DIGITALIZZAZIONE
Introdurre alcune tematiche utilizzando vi-deo (MOOC) che possono essere fruiti dallo studente in modo asincrono rispetto alla lezione.
#ACTIVELEARNING
Parole d’ordine: flipped e blended classro-om: allo studente viene chiesto di guarda-re un argomento prima della lezione, poi il docente, a seconda del feedback, decide come lavorare sul tema in aula.
#SOFTSKILLS
Insegnamento di soft skills e contenuti in-terdisciplinari che oggi mancano ai nostri laureati. Lavori di gruppo e presentazioni, ma anche educazione all’etica, ambito del quale attualmente, pur riconoscendone l’importanza, non insegniamo nulla.
#COTUTELA
Un coinvolgimento più strutturale del mon-do del lavoro nel nostro Ateneo. Vogliamo che l’azienda si faccia carico insieme a noi della vostra formazione e valutazione, pro-ponendovi problematiche reali che vadano oltre quelle che trovate sui libri.
Active Learning: non io che ascolto te, uomo di successo, che mi racconti quello che hai fatto, ma anzi vi verrà esposto un problema e sarete voi a proporre delle so-luzioni.
AZIONE 2:
corsi non curricolari facoltativi.
Si tratta di attività che coinvolgano le vo-stre passioni, per questo motivo stiamo co-struendo un portale che si chiama “Passion in Action” con l’obiettivo di valorizzare tut-to ciò che lo studente fa indipendentemen-te dal suo Corso di Studi. “Didattica inno-vativa”, infatti, non vuole essere qualcosa che attiene solo ai tuoi doveri di studente ma anche ai tuoi desideri di essere umano.
Può essere questa l’occasione di creare un rapporto tra la didattica e il mondo della ricerca e quindi dell’industria?
Il rapporto tra la didattica e la ricerca già esiste, come quello con le aziende, potreb-be però essere l’occasione per incremen-tarlo. Riprendendo quello che accennavo prima, vorremmo valorizzare i rapporti che già esistono, strutturarli di più, facendo capire alle aziende che possono non solo usarci come motore di innovazione, ma essere loro attori della vostra formazione: questa è una novità. Lo stakeholder può condividere il ruolo del docente soprattut-to per skills orizzontali, su cui ha un’espe-rienza maggiore della nostra. All’inizio si tratterà di numeri piccoli, ma grazie a un rapporto di fiducia e un affidarsi recipro-co potranno aumentare e portare una vera innovazione.
Il professor Sangiovanni-Vincentelli all’ inaugurazione dell’ Anno Accademico ci chiedeva di essere veramente innovativi. Cosa vuol dire? Da dove si può partire?
Voi fate riferimento a quando parlava della ricerca disruptive, che è antitetica nella de-finizione alla cosiddetta ricerca incremen-tale. La ricerca incrementale è un lavoro che si muove a partire da una base solida, sapendo prima cento, poi centouno, cen-todue… Il 90% della ricerca che si fa è in-crementale: è quella che ha portato l’uomo sulla luna. La ricerca disruptive è invece quella in cui viene aperta una nuova via che prima non esisteva. È come la differen-za tra scalare l’Everest , come hanno già fat-to altri, e invece andare sul K2, come hanno fatto i nostri italiani. Se nel mondo della ri-cerca questo approccio esiste già, il proget-to della didattica innovativa è un’occasione per poterlo ampliare anche ad un’utenza studentesca.
Sempre all’inaugurazione il professore parlava di creare interdisciplinarietà, di creare foundations. Come è possibile im-parare a interagire tra figure diverse?
Lui parla da un punto di vista di un profes-sore dell’università di Berkeley, dove tutti questi temi che vi ho raccontato fanno già parte del DNA degli studenti e di conse-guenza anche dei loro docenti. L’interdisci-plinarietà esiste già, non è da inventare. Possiamo però prenderci una responsa-bilità come istituzione: farci promotori affinché si accresca la capacità dei nostri studenti di interagire tra loro. Si tratta di un grande servizio, quello di permettere agli studenti di sperimentare un ambiente multidisciplinare e di gruppo dove queste soft skills vengano praticate e valutate, an-che grazie alla collaborazione col mondo del lavoro.
Che contributo possiamo dare noi stu-denti nella fase di ideazione della didat-tica innovativa?
Adesso è il momento in cui nei Corsi di Stu-dio si sta discutendo di questa cosa. Penso sia difficile per voi in modo autonomo fare un progetto, ma potete dire la vostra, dare dei contributi: fare da consulenti più che da progettisti. Io mi aspetto un vostro contri-buto in particolar modo sull’Azione 2, mi aspetto che ci aiutiate a capire qual è l’esi-genza: “se fai quel corso non verrà nessu-no, quel tema invece è bello, come farlo?”. Potete darci un advice che non possiamo avere se non da voi, nella scelta dei temi e delle modalità, del calendario e dell’orario. Non essendo a Manifesto, per l’Azione 2 c’è più tempo, che può essere sfruttato per incontrare professori ed approfondire il tema, per entrare nei dettagli.
Cosa si aspetta da questo nuovo progetto?
Oggi non funziona più la modalità classica di insegnamento, bisogna provare ad ag-giungere qualcosa alla nostra cassetta degli attrezzi: abbiamo già il cacciavite e la bru-gola, aggiungiamo la chiave inglese.
L’idea da cui nasce questo progetto è di riuscire a ingaggiare voi studenti, trovare qualcosa per cui secondo voi valga la pena spendersi. Faccio un esempio: uno che gio-ca a basket sarebbe disposto a svegliarsi alle sei e andare a giocare fuori regione, magari perdere o non giocare, eppure con-tinuare a dire che è bello. Pensate come sarebbe l’università se aveste questa stes-sa spinta per lo studio! L’Active Learning è stato pensato con questo scopo: stimolare l’apprendimento oggi, in un tempo in cui la mente dello studente dispone di gran-di potenziali ma alta soglia di attivazione. Guardando ai miei tempi potrei dire che avevamo meno potenziale ma una soglia di attivazione più bassa, mentre adesso è più difficile farvi saltare sulla sedia per lo stu-pore: per questo è opportuno un cambia-mento che vi faccia diventare protagonisti della vostra formazione. Guardate l’im-magine dell’“Imbuto di Norimberga” (in figura): per me la formazione avveniva in questo modo; oggi però le condizioni sono cambiate e se noi ci muoviamo così non scende nulla nell’imbuto, è come otturato. Bisogna trovare un altro modo per produr-re un risultato analogo, occorre usare degli strumenti diversi. Io vorrei che, quando un mio studente finisce gli studi, possa dire di aver fatto un’esperienza straordinaria. Chi esce da qui non dovrebbe dire “ma sì, carino”. Carino lo dice uno che ha ot-tant’anni! Pensate a quando gli anziani rimpiangono il passato dicendo “ai miei tempi”: intendono proprio “quando avevo vent’anni, quando ero in università”, per-chè dopo non sono più i miei tempi, ma i tempi di qualcun altro. È un peccato buttare via questi anni perché non volete in-vestire su voi stessi. La caduta del muro, le proteste di Piazza Tienanmen, storicamen-te sono moltissime le grandi cose successe grazie all’iniziativa di studenti come voi, ragazzi di vent’anni che si sono sfidati.