Cicatr/ci
Un viaggio di emozioni e verifiche per scoprire la meraviglia che è in ognuno di noi
Nato dalla collaborazione di B.Live e +Lab
Ho conosciuto CICATR/CI alla Triennale di Milano: vedere il +LAB, il laboratorio
di stampa 3D del Politecnico di Milano,
tra gli autori del progetto, mi ha incuriosita e spinta ad entrare. Uscita da lì, continuavo ad avere davanti agli occhi le 41 facce di chi aveva accettato di trasferire le cicatrici della propria vita sulla Venere o sul David.
Perché anche le nostre cicatrici non possono essere belle? A cosa serve la stampa 3D?
CICATR/CI è la sconvolgente risposta a queste domande. Il progetto è nato dall’incontro tra il +LAB e Carolina, una studentessa del Poli che ha proposto di far conoscere la stampa 3D a chi, come lei, fa parte di B.LIVE, un contenitore di attività per ragazzi affetti da gravi patologie croniche. Poche settimane fa sono entrata in quello strano laboratorio di chimica che è il +LAB e ne sono uscita avendo conosciuto queste persone e la loro storia, tramite il racconto di Alessia e Gilli. Chiudendo il catalogo che mi hanno regalato, ripenso a Carolina, agli altri ragazzi del +LAB e ai B.LIVERS: nessuno di loro all’inizio poteva sapere cosa sarebbe nato. Nessun intricato progetto sta dietro a questa bellezza oltre i canoni. Solamente delle persone che si sono incontrate e hanno messo in gioco tutto di loro, affidandosi l’un all’altro.
Auguro a chi spenderà parte del suo tempo su questa pagina di prendere sul serio
se stessi e chi si incontra, come mi hanno costretto a fare CICATR/CI e questo giornale. E come mi hanno invitato a fare sia lo specchio, tra le foto dei 41 autori, che i fogli per abbozzare la propria Venere, presenti alla mostra. Nell’esprimere la mia gratitudine per questo incontro, voglio citare in modo particolare: Stefania Spadoni, che ha fotografato le opere, +LAB (www.piulab.it), e in particolare +ABILITY (piuability.it), che riguarda progetti con persone con diverse esigenze, abilità, e B.LIVE (bliveworld.org).
IL GUSCIO / È svelare un’opera di cui sei autore solo in parte e riconoscere, di te, ciò che sai, ma anche vedere qualcosa che non sapevi. È […] essere sopraffatto della bellezza di questo assolutamente fortunatamente imperfetto universo umano. Pensavo fosse un’incapacità di mettere insieme i pezzi, all’inizio. Ma l’opera mi ha rivelato che invece è il guscio, il problema. È quel continuo cercare di proteggersi dove si è rimasti feriti, creando strato dopo strato un’armatura perfetta, un guscio immacolato, una bianca cicatrice.
DASH OF SASS /“non importa, quasi tutto si può sistemare e tutto porta con sé qualcosa di meraviglioso”: se riesco a dirlo col sorriso anche chi mi sta intorno, ci crede. E quindi diventa vero, sempre.
IL RITMO CHE AMMALA / Il computer, le telefonate, l’orologio. Ore 23: incubo e liberazione. È lì, la cicatrice. Cominci a credere che la vita va vissuta in quel modo. Non è vero. E la cicatrice s’allarga. Diventi aggressivo e assente. Conta solo il tuo ruminante lavoro. Devi fermarti. Ci sono voluti due anni per riscoprire gli altri. E quindi me stesso. Riflettere su una fretta inutile. Riprendere il senso delle cose, riscoprire la fiducia e capire che senza fiducia non c’è comunità. La cicatrice? È lì, ma non si allarga più.
SPIRALI / Vedere quelle ferite, fisiche interiori, trasferite su un (s)oggetto che è altro da me, è stupendo. Dona loro dignità. Significa forse accettarle finalmente per quello che sono: […] È necessario fermarsi e prendersi un momento per sé, scovare queste paure e riconoscerle, per trovarne nella bellezza.