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Attraversare il mondo per imparare a chiedere
L’Australia è una terra incredibile: canguri, koala, terre infinite e deserte, e poi l’oceano, il surf,… Ci vorrebbe una vacanza di qualche mese per avere anche solo un’infarinatura generale della vastità e varietà di bellezze che contiene.
Io ci sono stata sei mesi in Australia ma, mi duole dirvi, non ho fatto grandi vacanze: sono andata per svolgere il lavoro di tesi presso la Flinders University ad Adelaide. È stato un tempo ricco, di gioie e di fatiche, e ammetto che non è stato facile selezionare cosa di tutto ciò raccontare in queste righe.
La mia tesi consisteva in una ricerca sperimentale sulla microstruttura dei legamenti: ambito per me completamente nuovo e modalità anche, non avendo mai messo piede in un laboratorio dopo quello di chimica al primo anno. Questo ha voluto dire una gran voglia di imparare ma anche un enorme impaccio: non sapevo come ottenere i permessi che mi servivano, non sapevo dove mettere le mani, dove trovare i materiali, come utilizzare i diversi dispositivi. Ho avuto bisogno di tante cose che non sapevo certo darmi da sola e allora mi sono trovata costretta a chiedere. Prendere un po’ di coraggio, che non è in genere una mia caratteristica, vincere l’imbarazzo, andare da chiunque potesse anche lontanamente essermi d’aiuto e chiedere, con la fortuna, tra l’altro, che gli Australiani sono un popolo cortese e molto disponibile.
Con tantissimi la domanda è stata solo il primo mattone per la costruzione di un rapporto libero e che posso definire di amicizia nonostante la differenza di età. Avrei molti esempi da raccontare, in ambito universitario e non solo, anche perchè più chiedevo più mi accorgevo di quanto fosse più bello condividere e farsi aiutare anziché convincersi di dover portare tutto sulle sole proprie spalle. Non potendo raccontare tutto per ragioni di spazio e tempo, condivido solamente quanto accaduto nel laboratorio di materiali avanzati, dove ho svolto parte della mia ricerca.
Negli scorsi sei mesi quel laboratorio era frequentato solamente da me e da alcuni ragazzi cinesi tra cui Xinyi, la “supervisor”, che mi ha aiutato a svolgere gli step burocratici iniziali per ottenere l’accesso. Ho fatto in fretta ad affezionarmi a lei, per cui chiederle aiuto nelle cose più piccole (“dove trovo questo solvente? come funziona questa macchina?”) è stato più facile. Ammetto invece che con gli altri ragazzi non ho condiviso un granchè: qualche chiacchiera con Simon, e giusto dei “ciao, buona giornata” con gli altri, eppure è accaduto qualcosa nell’ultimo periodo che mi ha letteralmente commosso.
Quando, a causa del coronavirus, l’Australia ha cominciato a chiudere i confini e gli aeroporti, mi sono trovata costretta da un giorno con l’altro a cercare un volo che mi permettesse di tornare a casa il prima possibile, per non rischiare di rimanere ferma là per un tempo indefinito. Ho trovato il volo e la partenza era davvero di lì a pochi giorni, ma trovare delle mascherine per le mie 40 ore di viaggio non era certo un’impresa facile. Ne ho parlato con Xinyi, che subito si è attivata per aiutarmi dandomi consigli su come comportarmi in aereo (che ammetto un po’ mi preoccupava) e presentandosi il giorno seguente con un numero esagerato di mascherine da parte sua e degli altri ragazzi del laboratorio per me, per la mia amica con cui avrei viaggiato e per la mia famiglia una volta rientrata. Non ci potevo credere: non solo lei ma anche tutti gli altri ragazzi con cui avevo scambiato così poche parole… “They are worried about you” mi ha detto Xinyi! Grazie all’aiuto loro e di tanti altri amici locali io e Daniela siamo potute partire relativamente serene, con un passaggio in macchina all’aeroporto, la valigia piena di regali e tutti i dispositivi di protezione individuale necessari. Soprattutto sono partita piena di gratitudine per tutto quello (o meglio tutti quelli) che ho incontrato in Australia, perché se mai avrò occasione di tornare ad Adelaide ho qualcuno da cui tornare e perché – sono dovuta andare dall’altra parte del mondo per impararlo – ma ho capito che domandare è il gesto che più mi fa sentire libera dentro alla mia agenda di cose da fare, e per me che sono l’orgoglio fatto persona non è stato un passo immediato.
Rientrata in Italia, avevo ancora dei dati da elaborare e tutta la tesi da scrivere e inizialmente non è stato facile, soprattutto perché sono passata dall’avere il controrelatore di fianco alla mia scrivania ad averlo distante 16 mila chilometri e poterlo contattare solo per email. Ma il metodo non è cambiato: quando avevo dei dubbi non dovevo fare altro che chiedere ed ancora una volta ci sono stati amici pronti a darmi un suggerimento o un aiuto.