Di chi è il potere?
Il caso Hong Kong
Polipo ANNO XIII – Numero 2
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Infografica di Caterina Cedone
Hong Kong è in subbuglio. Da giugno, ogni fine settimana per le strade dell’ex colonia britannica vanno in scena proteste e manifestazioni.Quella che è iniziata come una critica a una legge controversa si è trasformata in qualcosa di molto più grande. I milioni di cittadini che marciano puntualmente nel “Porto profumato” – questo il significato del nome in cantonese – chiedono fondamentalmente più democrazia. Per meglio comprendere gli attuali avvenimenti si rende necessario guardare alla storia di Hong Kong e della Cina.
Agli inizi dell’800, dopo circa 5000 anni di impero cinese, si insedia il dominio britannico. In questo contesto, la città, nata come colonia di pescatori, entra in contatto con la cultura occidentale: cambia perciò ogni aspetto della vita a partire dalla nascita di ospedali, scuole cattoliche e protestanti fino all’ambito legislativo-giuridico con l’avviamento della Common Law. Si apre inoltre alle nuove tecnologie proprie della rivoluzione industriale. Inizia successivamente un periodo di lotte interne per la Cina che indebolisce in particolare la città di Hong Kong: è il momento in cui altri paesi come il Giappone approfittano per cercare di conquistarla, essendo inoltre un punto strategico per le rotte commerciali. Parallelamente il resto dell’impero cinese, che non sta subendo l’influenza britannica, vive un momento di crisi fino alla sua caduta nel 1912, che vede la nascita della “Repubblica di Cina”. Seguono poi anni in cui il partito nazionalista e quello comunista si contendono il potere fino alla supremazia del secondo, comandato da Mao Zedong che nel 1949 dà il via alla “Repubblica Popolare Cinese”.
Alla morte di Mao si afferma come leader de facto Deng Xiaoping, colui che ha disegnato la Cina moderna. Sotto la sua guida avviene infatti un cambio di paradigma rispetto al precedente governo. Azzarda un modello impossibile: un connubio fra una struttura di potere centralizzata, tipica del comunismo, e i principi economici capitalisti che comportano una serie di concessioni alla popolazione, come la proprietà privata e la libertà d’impresa. Questo processo graduale, infatti inizia solo da alcuni territori strategici, è rappresentato da slogan, come “arricchirsi è bello” che sottendono l’idea che il socialismo e l’economia di mercato non siano incompatibili. La contraddizione di questo modello trova il suo apice nel 1989 a Pechino quando ha luogo la protesta di piazza Tienanmen. In questa occasione milioni di giovani scendono per le strade per chiedere maggior libertà e diritti, ma lo stato risponde con l’uso dei carri armati e l’uccisione di 10000 persone, secondo i dati più affidabili. Tutt’ora in Cina è proibito parlarne e i social network, controllati dal governo, censurano qualsiasi discussione sull’argomento. Un esempio più recente del modo di agire del modello cinese riguarda un manager di una squadra dell’NBA. Dopo aver scritto sul suo profilo privato di Twitter un commento a favore della causa di Hong Kong, la Cina ha reagito minacciando di cancellare le partite in programma sulla televisione cinese, mettendo fortemente a rischio l’aspetto finanziario e il brand della squadra e costringendo il manager a scusarsi ufficialmente. Si tratta di un vero e proprio ricatto: la Cina è in una posizione per cui può far leva sulla sua potenza economica sottomettendo così chi mette in discussione il suo sistema legislativo o chi prova a sollevare istanze sulla situazione della sua popolazione. In generale la situazione attuale di Hong Kong si rifà al 1997 anno in cui Gran Bretagna e Cina siglano un accordo che prevede un compromesso: un governo, due sistemi. Il governo della città spetta alla Cina ma il sistema di regole è ereditato da quello inglese, con cultura occidentale. Questa differenza è ancora profonda tanto è che a Hong Kong, contrariamente alla Cina, si commemora ogni anno il 4 giugno, data degli eventi di piazza Tienanmen. L’obiettivo tuttavia è che nei prossimi 50 anni, scadenza nel 2047, si arrivi ad avere un sistema nazionale unico: per questa ragione negli anni a venire ci sono state diversi attriti fra le due parti.
In particolare da quel momento si ricordano 3 avvenimenti: 2003, 2014, 2019. Il primo passo cinese di allargare i propri confini giuridici è stato nel 2003, quando il governatore Tung ha proposto di applicare la legge anti-sovversione: tentativo di Pechino di omologare tutto il sistema politico, economico e sociale a partire dal limitare la libertà di parola e di manifestazione. Il timore crescente nella popolazione provoca una protesta di massa il 1 luglio a cui partecipano più di 500.000 persone. Il governo di Hong Kong si spacca e non riesce a raggiungere i numeri legali per proporre la legge. Per la prima volta un moto di proteste popolare fa cambiare idea a Pechino. Nel settembre del 2014 un gruppo di attivisti inizia la protesta contro la proposta di legge elettorale del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Il movimento, chiamato “Occupy central”, chiede elezioni completamente democratiche mentre la proposta arrivata da Pechino è chiaramente una forma di democrazia controllata e guidata. Questo sistema prevede che dopo le elezioni il vincitore deve essere approvato dal governo centrale di Pechino prima di essere ufficialmente nominato; questo atto finisce per scaturire dei moti di protesta che durano senza pause per 79 giorni. Il 18 giugno del 2015 il parlamento locale di Hong Kong ha respinto il progetto di riforma originario. Nell’aprile 2019 i tre leader di “Occupy central” e altre sei persone sono state condannate per “cospirazione e incitamento a commettere disturbo dell’ordine pubblico”. Il giudice ha deciso che gli imputati non potevano rivendicare le leggi sulla libertà di parola e di manifestare nell’ex colonia britannica e ha applicato il più severo Civil Law. Da qui la proposta di estradare gli imputati e di giustiziarli secondo il sistema cinese.
Da tutto ciò che è stato raccontato sopra emerge un aspetto: esiste un popolo che in qualche maniera si oppone al potere coercitivo del governo per poter vivere liberamente. È successo altre volte nell’ultimo secolo della storia, in particolare nei Paesi satelliti dell’Unione sovietica: erano definiti dissidenti uomini e donne che esprimevano il loro dissenso nei confronti del potere comunista. Per quanto questi uomini fossero per lo più letterati, scrittori e attori, le loro azioni erano ritenute pericolosissime: uno di questi era Bukovskij, poeta e scrittore, che afferma: “Non voglio abbattere il sistema, voglio che mi lasciate vivere”. Parliamo quindi di gruppi che si trovavano a leggere delle poesie in piazza, persone laiche e di diverse estrazioni sociali che però non riuscivano a far tacere in loro un grido di libertà. L’opposizione perciò non nasceva dal voler sovvertire il potere ma da un’istanza pacifica di libertà che tuttavia rischia di compromettere il sistema esistente. Sorge spontanea una domanda: cosa volevano quindi questi “dissidenti”? Qual era il loro obiettivo?
Colpisce come anche un uomo, da solo, quando c’è interamente cioè con tutto il suo desiderio di libertà, ha il coraggio di muoversi secondo quello che veramente sente. Questo produce un cambiamento, produce dei fenomeni quali la speranza, la decisione e l’amicizia. E allora il primo problema non è ribaltare il sistema ma innanzitutto muoversi verso ciò che si sente più vero, giusto, bello e buono e che può essere la lettura pubblica di una poesia fino al mettere a rischio la propria vita di fronte a dei carri armati. Significativa in questo contesto risulta un’affermazione di Don Luigi Giussani: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo”. Infatti, per assurdo, scuote maggiormente ed è più pericoloso per chi detiene il potere un uomo che ha questa consapevolezza della sua vita piuttosto di un altro che brandisce un fucile. In conclusione non è detto che il fattore di cambiamento sia un esito immediato ma non sarebbe adeguato parlarne come di un evento racchiuso all’interno dei confini geografici della protesta. Tant’è vero che il primo risultato, anche se può sembrare poco, è la nascita in noi di fiducia e speranza in quanto anche altre persone sono vigili rispetto alle forme di potere che continuamente sorgono, e che il loro fuoco accende il nostro desiderio di non stare tranquilli nella “pace” dei nostri giorni.
“Ciò che facciamo in vita riecheggia nell’eternità.”